Liste elettorali e firma digitale

La raccolta delle firme per le liste elettorali e la firma digitale. Scheda giuridica a cura di Francesca Re, avvocato e dottore di ricerca in diritto pubblico, Università di Roma Tor Vergata
LISTE ELETTORALI E FIRMA DIGITALE

LA RACCOLTA FIRME PER LE LISTE ELETTORALI E LA FIRMA DIGITALE – SCHEDA GIURIDICA* 

*a cura di Francesca Re, avvocato e dottore di ricerca in diritto pubblico, Universita’ di Roma Tor Vergata. Membro di Giunta dell’Associazione Luca Coscioni per la Liberta’ di Ricerca Scientifica – 

Il testo dell’Appello al Presidente del Consiglio Mario Draghi 


 

PROFILI GIURIDICI

Non occorre scomodare norme di legge o regolamenti ministeriali per constatare l’irragionevolezza e quindi la discriminazione dell’attuale sistema per la presentazione delle liste elettorali in vista delle prossime elezioni politiche.  La nostra Costituzione, e con essa trattati e convenzioni internazionali è chiara quando parla di un “pari accesso ad un’effettiva partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del paese” (art. 3). 

Gli ostacoli da rimuovere, in questo caso, non sarebbero molti. Basterebbe applicare la legge dello Stato. 

Pochi giorni fa, il costituzionalista Prof. Azzariti, intervistato in merito alla firma digitale e all’obbligo di raccogliere le firme per la presentazione di nuove liste, auspicava una “normativa più omogenea nel rispetto del principio di uguaglianza”. 

In realtà la normativa è abbastanza omogenea, ma è applicata in modo disomogeneo. La firma digitale, in particolare tramite SPID, oltre ad essere utilizzata per una serie di attività, c.d. “sensibili”, è stata riconosciuta valida ai fini della sottoscrizione di quesiti referendari,  dunque negarla per la sottoscrizione di liste elettorali è un’irragionevolezza che comporta la violazione di libertà civili e diritti umani. 

In relazione alle liste elettorali, la legge 165/2017, c.d. Rosatellum, che oggi rappresenta il riferimento normativo in base al quale si svolgeranno le prossime elezioni politiche, prevede già la sottoscrizione della lista elettorale in modalità digitale. 

L’art. 3 comma 7 della legge n. 165/2017, infatti, conferendo una delega al Governo, stabilisce che “entro sei mesi dalla data di entrata in  vigore  della presente legge, (…) sono definite le modalità per  consentire  in  via sperimentale la raccolta con modalità digitale delle  sottoscrizioni necessarie per la presentazione delle candidature e  delle  liste  in occasione di consultazioni elettorali,  anche  attraverso  l’utilizzo della firma digitale e della  firma  elettronica  qualificata.  Sullo schema del decreto è acquisito il   parere   delle   competenti Commissioni parlamentari, che   si   esprimono   nel   termine   di quarantacinque giorni. 

La legge dunque prevede proprio che il Governo debba (o avrebbe dovuto) emanare un atto idoneo ad implementare tale principio normativo, positivizzato da una legge dello Stato, come richiesto nella lettera inviata il 25 luglio scorso al Presidente del Consiglio Mario Draghi da Filomena Gallo, Virginia Fiume, Marco Perduca e Marco Cappato. 

Se allora, come dice il Prof. Azzariti, la Costituzione è violata perché è violato il diritto dei cittadini ad accedere senza discriminazioni alla vita democratica del paese, è anche vero che non è ancora troppo tardi per rimediare. La legge prevedeva infatti proprio una delega al Governo e un decreto legge, in questo caso, potrebbe essere la soluzione. Sia perché sussiste un’emergenza democratica sia perché questo è un atto necessario allo svolgimento legittimo delle prossime elezioni. 

La questione della raccolta firme per le sottoscrizioni elettorali ha una dimensione complessa, ancora di più se osservata da una prospettiva comparata, che offre un’ampia varietà di regimi normativi. Su questo punto specifico, anche solo prendendo in considerazione alcuni ordinamenti europei (quali Austria, Belgio, Francia, Germania, Portogallo, Regno Unito, Spagna e Svezia), possono individuarsi almeno due grandi categorie di soluzioni, e cioè quelle che non contemplano l’istituto delle sottoscrizioni da parte di elettori e quelle che, invece, ricorrono a questo istituto come appunto, l’Italia. La raccolta firme per la presentazione di una lista ha lo scopo evidente di sondare un certo sostegno popolare in vista di una eventuale rappresentanza politica, e non è necessariamente una procedura negativa. Lo diventa, come nel caso italiano, quando cominciano a differenziarsi regimi e regole di presentazione delle liste a seconda del collegamento a gruppi già presenti in Parlamento. Questo determina una situazione di squilibrio e di disparità d’accesso. Di discriminazione, che comporta, oltre alla violazione degli artt. 2 e 3 della Costituzione anche una violazione del diritto di voto di cui all’art. 48 della Costituzione.

La richiesta di raccogliere le firme per via digitale rappresenta lo strumento di superamento rispetto ad una discriminazione oggi in atto, amplificata dai tempi brevissimi e dal periodo estivo. 

L’obiettivo di semplificazione e di agevolazione alla partecipazione democratica ha ispirato anche la riforma precedente, quella con cui il nostro Paese ha inaugurato la firma digitale in occasione delle campagne referendarie dello scorso anno (Eutanasia e Cannabis). Anche in quell’occasione la firma digitale nasceva da un’esigenza di semplificazione, rispetto alla procedura di raccolta, autenticazione e certificazione delle firme, per la quale l’Italia era stata condannata dal Comitato dei diritti umani dell’ONU a seguito del ricorso presentato da Mario Staderini e Michele De Lucia. 

Le risposte del nostro Paese, all’indomani di quella condanna, sono state due. 

Innanzitutto, il DL 76/2020 modificando l’art. 14 della legge 53/1990 ha inserito fra gli autenticatori anche gli avvocati “che abbiano comunicato la loro disponibilità all’ordine di appartenenza”, i consiglieri regionali e i parlamentari. Quella riforma consentì una raccolta sicuramente più agevole soprattutto grazie all’elevato numero di avvocati presenti nel nostro Paese che avevano dedicato tempo all’autenticazione delle firme per il referendum Eutanasia Legale.

Inoltre, l’art. 1 comma 341 della legge finanziaria 178/2020 aveva previsto che “Al  fine  di  contribuire  a  rimuovere  gli   ostacoli   che impediscono la piena inclusione sociale delle persone con disabilità e di garantire loro il diritto alla partecipazione democratica (…)  è istituito un  apposito  fondo (…) destinato  alla   realizzazione   di   una piattaforma di raccolta delle firme digitali da  utilizzare  per  gli adempimenti di cui all’articolo 8 della legge 25 maggio 1970, n. 352”. 

Tramite la legge finanziaria, dunque, la Presidenza del Consiglio dei ministri si impegnava ad assicurare l’entrata in funzione, entro il 31 dicembre 2021, della “piattaforma digitale” in grado di raccogliere le firme ed i dati dei sottoscrittori in forma digitale ovvero “tramite strumentazione elettronica con le modalità previste dall’articolo 20, comma 1-bis, del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82”.  Con questa ulteriore previsione: “le firme digitali non sono soggette all’autenticazione di cui al terzo comma dell’articolo 8 della legge 25 maggio 1970, n. 352”. 

Inizialmente dunque, l’istituzione di una piattaforma per la firma digitale era destinata a consentire alle persone con disabilità un accesso non discriminatorio alla partecipazione democratica.

Nell’estate del 2021, in concomitanza con la raccolta firme per il referendum Eutanasia legale, attraverso un emendamento del parlamentare Riccardo Magi, il Parlamento approvò l’art. 38 bis della legge n. 108 del 2021, introducendo misure di semplificazione per la raccolta di firme digitali tramite piattaforma, ovvero che «per la raccolta delle firme degli elettori necessarie per i referendum previsti dagli articoli 75, 132 e 138 della Costituzione nonché per i progetti di legge previsti dall’articolo 71, secondo comma, della Costituzione» la firma di tutti i cittadini elettori possa essere apposta “anche mediante la modalità prevista dall’articolo 65, comma 1, lettera b), del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82».La norma prosegue disegnando fisionomia, funzioni e modalità operative della piattaforma digitale. 

Il gioco sembrava fatto, la firma digitale era dunque una realtà al servizio della democrazia nel nostro Paese, e il suo avallo definitivo era stato riconosciuto dall’Ufficio Referendum presso la Corte di Cassazione che aveva ritenuto legittime e valide le firme digitali depositate. Ma almeno due sono stati gli eventi politici che hanno iniziato a rimettere in discussione una conquista di minima civiltà come quella della firma digitale: innanzitutto la bocciatura di un emendamento al PNRR, sempre a firma del parlamentare Riccardo Magi che lo scorso 21 dicembre aveva chiesto l’estensione della firma digitale anche alla sottoscrizione delle firme elettorali. L’emendamento venne bocciato, ottenendo 19 voti favorevoli (gruppo misto e PD) e 19 voti sfavorevoli (centro-destra) con responsabilità evidenti di Italia Viva, astenuta, e M5S non pervenuto.Il secondo episodio è quello relativo alla risposta del Ministro Colao nell’ambito di un question time durante il quale l’On. Magi chiedeva aggiornamenti sullo stato della piattaforma che sarebbe dovuta essere pronta alla fine di gennaio 2022.Il Ministro Colao, dopo aver spiegato che i rallentamenti erano dovuti a pareri negativi del Garante Privacy e del Ministero della Giustizia chiarisce che “il dettato normativo garantisce solo la digitalizzazione della raccolta della firme, che è il segmento iniziale del processo di promozione dell’iniziativa, ma non consente una completa digitalizzazione, estesa per esempio all’autenticazione delle firme o alla raccolta dei certificati elettorali, che sono disciplinati ancora in maniera analogica”. Successivamente a questa risposta, del tutto inaspettata in quanto totalmente in contrasto con il senso stesso della firma digitale che per definizione non ha bisogno di autenticazioni successive, come prevede l’art. 20 del codice dell’amministrazione digitale, una serie di incontri hanno rimesso in discussione la questione aprendo a soluzioni ancora non definite. 

L’omogeneità normativa auspicata dal Prof. Azzariti forse non è il problema centrale nella gestione degli strumenti di democrazia digitale, dal momento che si è dimostrato che pur in presenza di leggi dello Stato, i problemi applicativi e di coordinamento fra ministeri sembrano rappresentare i veri ostacoli ad una partecipazione accessibile.  Le esperienze referendarie hanno dimostrato che questi strumenti oltre che necessari sono vitali per ripristinare un deficit di partecipazione oggi evidente. E senza partecipazione non c’è pluralità, elemento indispensabile per il buono stato di salute di una democrazia. 



SCHEDA TECNICA

LEGGE ELETTORALE 165/2017
In relazione alle liste elettorali, la legge 165/2017, c.d. Rosatellum, che oggi rappresenta il riferimento normativo in base al quale si svolgeranno le prossime elezioni politiche, prevede già la sottoscrizione della lista elettorale in modalità digitale. 

L’art. 3 comma 7 della legge n. 165/2017, infatti, conferendo una delega al Governo, stabilisce che “entro sei mesi dalla data di entrata in  vigore  della presente legge, (…) sono definite le modalità per  consentire  in  via sperimentale la raccolta con modalità digitale delle  sottoscrizioni necessarie per la presentazione delle candidature e  delle  liste  in occasione di consultazioni elettorali,  anche  attraverso  l’utilizzo della firma digitale e della  firma  elettronica  qualificata.  Sullo schema del decreto è acquisito il   parere   delle   competenti Commissioni parlamentari, che   si   esprimono   nel   termine   di quarantacinque giorni. 

CONDANNA COMITATO DEI DIRITTI UMANI ONU

Nel 2015 Mario Staderini e Michele De Lucia presentarono un ricorso al Comitato dei diritti umani dell’ONU per violazione del diritto dei cittadini italiani ad accedere agli strumenti di democrazia diretta come referendum e leggi di iniziativa popolare. Nel 2019, il Comitato condannò l’Italia perché la procedura di raccolta firme risultava eccessivamente complessa. 

Le risposte del nostro Paese, all’indomani di quella condanna, sono state sostanzialmente due. 

  1. DECRETO LEGGE  76/2020 

Il DL 76/2020 modificando l’art. 14 della legge 53/1990 ha inserito fra gli autenticatori anche gli avvocati “che abbiano comunicato la loro disponibilità all’ordine di appartenenza”, i consiglieri regionali e i parlamentari. Quella riforma consentì una raccolta sicuramente più agevole soprattutto grazie all’elevato numero di avvocati presenti nel nostro Paese che avevano dedicato tempo all’autenticazione delle firme per il referendum Eutanasia Legale.

  1. LEGGE FINANZIARIA 178/2020

L’art. 1 comma 341 della legge finanziaria 178/2020 aveva previsto che “Al  fine  di  contribuire  a  rimuovere  gli   ostacoli   che impediscono la piena inclusione sociale delle persone con disabilità e di garantire loro il diritto alla partecipazione democratica (…)  è istituito un  apposito  fondo (…) destinato  alla   realizzazione   di   una piattaforma di raccolta delle firme digitali da  utilizzare  per  gli adempimenti di cui all’articolo 8 della legge 25 maggio 1970, n. 352”. 

Tramite la legge finanziaria, dunque, la Presidenza del Consiglio dei ministri si impegnava ad assicurare l’entrata in funzione, entro il 31 dicembre 2021, della “piattaforma digitale” in grado di raccogliere le firme ed i dati dei sottoscrittori in forma digitale ovvero “tramite strumentazione elettronica con le modalità previste dall’articolo 20, comma 1-bis, del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82”.  Con questa ulteriore previsione: “le firme digitali non sono soggette all’autenticazione di cui al terzo comma dell’articolo 8 della legge 25 maggio 1970, n. 352”. 

Inizialmente dunque, l’istituzione di una piattaforma per la firma digitale era destinata a consentire alle persone con disabilità un accesso non discriminatorio alla partecipazione democratica.

LEGGE 108/2021

Nell’estate del 2021, in concomitanza con la raccolta firme per il referendum Eutanasia legale, attraverso un emendamento del parlamentare Riccardo Magi, il Parlamento approvò l’art. 38 bis della legge n. 108 del 2021, introducendo misure di semplificazione per la raccolta di firme digitali tramite piattaforma, ovvero che «per la raccolta delle firme degli elettori necessarie per i referendum previsti dagli articoli 75, 132 e 138 della Costituzione nonché per i progetti di legge previsti dall’articolo 71, secondo comma, della Costituzione» la firma di tutti i cittadini elettori possa essere apposta “anche mediante la modalità prevista dall’articolo 65, comma 1, lettera b), del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82».

Il panorama normativo in tema di firma digitale e accesso alla democrazia diretta rivela che allo stato attuale basterebbe applicare le leggi esistenti per abbattere le barriere democratiche e consentire un accesso non discriminatorio alla vita politica del Paese. 

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