Firma digitale per le liste elettorali: il ricorso del Professor Giovanni Guzzetta

Il Professor Giovanni Guzzetta presenta il ricorso di urgenza preparato per la Lista Referendum e Democrazia in merito al mancato riconoscimento delle firme digitali per la presentazione alle Elezioni Politiche 2022.
Giovanni Guzzetta ricorso firme

Intervento del professor Giovanni Guzzetta durante la Conferenza Stampa del 2 settembre di presentazione del Ricorso d’urgenza della lista Referendum e Democrazia. 

“Ringrazio molto il gruppo Referendum e Democrazia per avermi chiesto questa collaborazione, diciamo professionale, su un tema che è molto sfidante, perché ci muoviamo in un settore in cui ci sono un’infinità di trappole giuridiche. 

Io mi sono occupato di redigere un ricorso Ex Articolo 700 del Codice di Procedura Civile per ottenere un provvedimento d’urgenza da parte del tribunale di milano, che è stato depositato oggi, finalizzato a ottenere l’ammissione delle liste presentate nella circoscrizione della lombardia; e contestualmente anche, se il giudice così ritenesse – cioè non ritenesse sufficienti gli argomenti addotti secondo i quali è nostro parere che è possibile già allo stato attuale della legislazione ammettere queste liste – sollevare la questione di costituzionalità per la palese irragionevolezza di questo presunto divieto di presentazione in forma elettronica di liste in occasione delle elezioni, laddove, come sappiamo, da più di un anno la stessa identica procedura è ammessa invece per iniziative di un valore costituzionale altrettanto rilevante e cioè per le iniziative referendarie e le iniziative di legge popolare. 

Non intrattengo sui tantissimi snodi giuridici di questa iniziativa perché è un’iniziativa che è un unicum, basti dire che solo nel 2021 la Corte Costituzionale ha chiarito definitivamente che ci potesse essere una strada per accedere alla giustizia nel caso di esclusione delle liste, prima c’è stato un rimpallo tra giurisdizioni che sembrava ci fosse un vuoto normativo; noi ci siamo infilati in questa prospettiva aperta dalla Corte Costituzionale con una sentenza molto complessa e molto articolata, quindi stiamo sperimentando questa iniziativa. Mi concentrerei sul merito o, meglio, su due aspetti. 

Il procedimento Ex Articolo 700 richiede al giudice un provvedimento d’urgenza e il giudice può emanare questo procedimento d’urgenza se ci sono due presupposti: uno è il pericolo di un danno grave e irreparabile; il secondo è se c’è un cosiddetto fumus boni iuris, cioè una sufficiente parvenza di legittimità della pretesa che viene fatta valere. Ovviamente sul periculum, cioè sul rischio del danno irreparabile della mancata ammissione, è inutile soffermarsi perché è evidente che, se la lista non può partecipare alle elezioni, il danno è per definizione irreparabile, non essendo previsto che si possano rifare le elezioni qualora alla fine di tutta la procedura si riconoscesse che la lista era invece legittimata. Sul fumus, cioè sulle ragioni giuridiche, noi abbiamo intrapreso due strade proprio per non lasciare nulla di intentato: la prima strada è dire che allo stato della legislazione vigente le firme presentate elettronicamente vanno riconosciute come modalità di presentazione. 

Ci sono stati due ricorsi amministrativi, uno all’ufficio regionale e uno all’ufficio centrale, che sono stati entrambi rigettati e gli argomenti che sono stati utilizzati sono argomenti che non ci convincono; per cercare di essere più semplice possibile, visto che il ricorso è piuttosto corposo e non ho il sadismo di sottoporvi a tutti i passaggi, la questione fondamentale a mio parere è questa: non esiste una ragione tecnica o non esiste una ragione per ritenere che non ci siano norme nel nostro ordinamento in grado di consentire la presentazione delle firme, o meglio, che non ci siano norme che disciplinano le procedure che riguardano le iniziative in forma elettronica: esiste il Codice Amministrazione Digitale (CAD) che già sarebbe sufficiente, a nostro modo di vedere.

Quali sono i problemi che sono stati opposti? I problemi riguardano non l’aspetto non della infrastruttura normativa sulla digitalizzazione, ma sono problemi legati ad asseriti divieti di applicare questa infrastruttura normativa, legata alla digitalizzazione, alle elezioni politiche; e gli argomenti sono fondati su due norme. 

  1. Una è l’Articolo due Comma 6 del Codice dell’Amministrazione Digitale che – per chi è particolarmente perverso lo consiglio di andarselo a leggere – con un’espressione grammaticalmente quasi incomprensibile dice, o meglio, è interpretato dagli uffici centrali nel senso che il CAD  non si applica alle consultazioni elettorali; quindi tutta questa infrastruttura normativa che consentirebbe la presentazione delle firme non sarebbe applicabile alle consultazioni elettorali. 
  2. La seconda norma invece è l’articolo 18 Bis della legge elettorale vigente, che riguarda la Camera ma si applica per un rinvio anche al Senato, che dice sostanzialmente che le firme vanno presentate in forma analogica, cioè con firme autografe, e autenticate da un certo numero di soggetti. 

Sulla base di questi due argomenti gli uffici regionali e poi quello centrale dicono “Signori, non è ammessa l’applicazione di tutta quella impalcatura normativa che sorregge la digitalizzazione delle sottoscrizioni”. 

Gli argomenti che abbiamo utilizzato sono che questa tesi è una tesi infondata. Una buona parte degli argomenti riguarda la circostanza che esiste un regolamento europeo che è finalizzato a riavvicinare le legislazioni, proprio in tema di identità digitale, e a creare un quadro normativo unitario, quindi un’armonizzazione proprio in tema di firme elettroniche, che secondo l’ufficio centrale non si applica, perché riguarderebbe solo i rapporti transfrontalieri; secondo noi, come abbiamo cercato di dimostrare ampiamente, come è stato sostenuto anche dal professor Corasaniti e da altri, invece si applica perfettamente perché disciplina esattamente il caso della validità delle firme elettroniche. Inoltre c’è, all’interno di questo regolamento, una disciplina particolare, nell’Articolo 25 Comma 2, che dice in modo piano e indubitabile che le firme elettroniche qualificate sono equiparate alle firme autografe. 

Su questa premessa, nei cui dettagli non entro, noi diciamo “Signori, se questo è un regolamento comunitario e se questa norma, come noi riteniamo, si applica, cioè stabilisce lei un’equiparazione tra firma elettronica certificata, o firma digitale come dice il CAD, e firma autografa, le norme che impediscono questa equiparazione vanno disapplicate dagli organi amministrativi; quindi non c’è nemmeno bisogno di ricorrere alla corte costituzionale: è acquisizione pacifica che le norme europee che sono direttamente applicabili, cioè che hanno un significato che è suscettibile di immediata applicazione, scacciano le norme interne. Quindi, quand’anche fosse vero che quelle due leggi nazionali che citavo prima vietano l’estensione, l’applicazione della normativa in materia digitale alle elezioni, questo regolamento impone che siano disapplicate queste norme interne, in favore della norma europea che prevede l’equiparazione. 

Aggiungo come secondo argomento che quel divieto di applicazione del CAD dalla consultazione elettorale è posto da una norma che è molto ambigua e scritta in un modo quasi incomprensibile dal punto di vista grammaticale, ma che dà per scontato, nell’interpretazione dell’ufficio centrale, che “consultazioni elettorali” significhi tutto ciò che riguarda la attività che conduce alle elezioni: che, quindi, dal momento in cui si convocano i comizi elettorali, tutto il procedimento previsto dalla legge sia consultazione elettorale. Noi contestiamo questa interpretazione per una serie di ragioni, innanzitutto per una ragione letterale: la consultazione elettorale è il momento in cui si svolgono le operazioni di voto; questo non lo diciamo solo noi, ma lo dice la stessa corte costituzionale allorché, in quella sentenza che citavo prima, quando parla di questioni relative all’ammissione delle liste, dice che queste sono procedimento preparatorio rispetto alle elezioni, quindi precedono le elezioni, precedono il momento dell’apertura dei seggi fino alla proclamazione. Quindi intanto c’è questo primo dato quasi lessicale, cioè la consultazione elettorale è una cosa precisa secondo noi, ed è tutto ciò che riguarda le operazioni di voto e lo scrutinio. 

Si potrebbe dire “sì, però in astratto nessuno vieta che questo concetto possa essere inteso in senso estensivo, cioè tutto”. Qui soccorre un altro principio, che è il principio generale per cui, quando si tratta di limitare i diritti, e in questo caso sicuramente si stanno limitando i diritti, le norme vanno interpretate in senso restrittivo, cioè non nell’interpretazione più estensiva, ma nell’interpretazione più restrittiva. Quindi ancora una volta, poiché sono in gioco diritti costituzionali, l’esclusione delle consultazioni elettorali deve essere interpretata in modo restrittivo e quindi non può applicarsi al procedimento preparatorio. Questa è sostanzialmente l’impalcatura del ricorso, al quale si aggiungono tutta una serie di considerazioni su violazione di norme di diritto internazionale, dal patto internazionale sui diritti civili e politici alla convenzione europea dei diritti dell’uomo. 

Tutta questa prima parte del ricorso è finalizzata a sostenere la tesi che si potessero applicare direttamente, da parte dell’ordine amministrativo, le norme e quindi non ci fosse bisogno di rinvio alla corte costituzionale, non ci fosse bisogno cioè di nessun tipo di intervento che sdogani questa modalità di raccolta delle firme.

Ovviamente ci siamo anche fatti carico anche, nell’ipotesi in cui il giudice non condivida questa tesi, dell’altra tesi, cioè che questa normativa, questo divieto, sia comunque incostituzionale; su questo direi che gli argomenti sono molto più forti, perché sono sostenuti dall’esistenza di quella disciplina che citavo prima, introdotta nel 2021, che prevede per la raccolta delle firme referendarie e per la raccolta delle firme di  iniziativa popolare, la possibilità dell’utilizzo degli strumenti elettronici. Questo rende palesemente irragionevole il divieto per le elezioni politiche, quindi determina una violazione a mio parere flagrante dell’Articolo 3 della Costituzione, e per giunta paradossale, perché, mentre le norme sulla raccolta delle firme o sull’esistenza necessaria di un certo numero di firme sono norme di rango legislativo, benché sostenute da argomenti fondamentali, cioè finalizzate ad assicurare la genuinità della firma che si presenta, le norme che invece prevedono la raccolta di firme per i referendum per le iniziative popolari sono norme previste direttamente dalla costituzione. Quindi se il legislatore ha ritenuto che per l’adempimento di un dovere, la raccolta di firme, espressamente previsto dalla costituzione e quindi, diciamo così, in cui la genuinità, la legalità deve essere garantita al massimo, se in quel caso ha previsto che si possa raccogliere anche mediante procedura elettronica, è assolutamente irragionevole, per non dire assurdo, che lo stesso non possa essere fatto allorché si debbano raccogliere le firme per la partecipazione alle elezioni politiche. 

Questo è il quadro complessivo degli argomenti che abbiamo utilizzato, quindi lo lascio alla vostra attenzione e mi rendo disponibile per qualsiasi ulteriore chiarimento. Il ricorso diciamo è molto corposo, quindi  probabilmente mi sarà sfuggito qualcuno dei possibili ulteriori elementi ma fondamentalmente è questo il tema. 

Ovviamente non ci si può nascondere che, e le iniziative radicali si caratterizzano per questo motivo, siamo in un terreno non arato, fino adesso quindi, come dicevo, le trappole sono dietro l’angolo; quello che io mi auguro è di trovare un giudice sufficientemente curioso e sufficientemente sensibile per cogliere, diciamo così, la delicatezza di tutte queste questioni. Nel merito io, personalmente, non nutro nessun dubbio sul fatto che questa situazione sia, diciamo così, fuori dalla legalità. 

Aggiungo due cose che forse possono essere utili. Una è legata al fatto che questa situazione è tanto più grave perché, come qualcuno di voi saprà, già nel 2017, cioè 5 anni fa, una legge dello stato aveva previsto che si adottasse un decreto ministeriale per consentire l’esercizio attraverso modalità elettroniche della sottoscrizione; quel decreto non è stato mai applicato, ma la cosa paradossale è che è diventato un altro degli argomenti per dire che non si può fare: mancando il decreto attuativo previsto da quella legge, dice la Corte di Cassazione ufficio centrale, dice è evidente che il legislatore non lo consente, fin quando non si applica quel decreto attuativo. Ecco, la nostra tesi è che quel decreto attuativo fosse un decreto di tipo meramente ricognitivo, finalizzato semmai a stabilire regole per l’amministrazione, perché gli uffici elettorali si organizzassero, ma non può discendere da un decreto ministeriale la decisione se sia o meno legittimo raccogliere le firme elettronicamente. 

E poi c’era un altro punto che in questo momento mi sfugge, quindi magari se mi torna in mente ve lo dico, ma insomma la sostanza più o meno è questa e scusatemi per la lunghezza”. 

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